I prodotti lattiero caseari contribuiscono in modo considerevole all’assunzione media giornaliera pro-capite di vitamine e questo vale in particolare per la riboflavina (26.6%) ed il retinolo (20.2%).
Il latte, comunque, contiene un po’ tutti questi nutrienti essenziali, comprese le vitamine K e D alle quali la ricerca più recente sta dedicando sempre maggiore attenzione.
Della prima, se finora si è posto l’accento soprattutto sul suo coinvolgimento nella coagulazione (il suo nome deriva proprio da “Koagulation”), ora a destare nuovo interesse è il suo ruolo nel metabolismo dell’osso nel quale, del resto, sono state isolate tre proteine vitamina K-dipendenti.
Una delle evidenze più significative al riguardo, giunge da uno studio prospettico realizzato all’interno del Nurses’ Health Study e pubblicato dall’American Journal of Clinical Nutrition (1). In questa ricerca, dalla valutazione dei dati relativi a più di 72.000 donne che sono state seguite per 10 anni, è emerso che i soggetti i cui apporti di vitamina K rientravano nel quintile più basso (<109 μg daily), presentavano un rischio di frattura del femore del 30% maggiore rispetto alle donne con apporti di questa vitamina nei quattro quintili superiori (>109 μg daily).
E di recente è stato proposto di utilizzare la vitamina K come un nuovo marker biochimico per la diagnosi di osteoporosi
Questa vitamina, che è contenuta in particolare negli ortaggi a foglia verde, è presente in modo consistente anche nel latte (fino a 17 mcg/100 ml, a fronte di un livello di assunzione giornaliero raccomandato di 1 mcg/kg di peso corporeo).
Tuttavia, parlando di vitamine, la vera “nuova rivelazione” sembra essere la D, di cui il latte è la fonte alimentare consumata con maggiore frequenza.
Si stanno ipotizzando effetti protettivi che vanno ben aldilà di quelli più noti e relativi alla salute delle ossa. È stato infatti suggerito che una carenza di vitamina D possa aumentare il rischio, oltre che di osteoporosi, di varie patologie, inclusi alcuni tumori, il diabete di tipo 1, le malattie cardiovascolari.
È stato infatti suggerito che una carenza di vitamina D possa aumentare il rischio, oltre che di osteoporosi, di varie patologie, inclusi alcuni tumori, il diabete di tipo 1, le malattie cardiovascolari.
Vediamo allora di fare il punto con l’aiuto del professor Benvenuto Cestaro, ordinario di biochimica e direttore della scuola di specializzazione in scienza dell’alimentazione dell’Università di Milano: “C’è davvero molto interesse intorno a questa vitamina che, oltre a stimolare l’assorbimento del calcio e del fosforo a livello intestinale e a contribuire ad una adeguata mineralizzazione ossea, è coinvolta in numerosi altri processi.
Ed è stato ipotizzato che quanto osservato in queste popolazioni possa essere dovuto ad una minore esposizione ai raggi UV e quindi anche ad una minore produzione di vitamina D che, oltre ad essere introdotta con la dieta (alcuni prodotti lattiero caseari sono fra le poche fonti alimentari significative), può essere sintetizzata a livello della cute a partire da un precursore (7-deidrocolesterolo), grazie appunto all’azione della luce solare.”
Malgrado il suo fabbisogno venga soddisfatto facilmente con l’esposizione al sole, che permette la trasformazione di pro-vitamina in vitamina attiva, essa viene ormai in molti paesi aggiunta come supplemento al latte. La vitamina D può essere sintetizzata ed accumulata nei mesi estivi così da mantenere un adeguato livello circolante delle forme attive anche nei mesi invernali.
6 Luglio, 2020